A tutti i nostri allievi/e,

alle loro famiglie

ai docenti e formatori

Torino, 16 gennaio 2023

Prete da 5 anni, nel 1846 don Bosco ha vissuto un’esperienza che lo ha segnato profondamente: l’incontro con i giovani detenuti della Generala. Era il carcere minorile di quel tempo, ed era pieno di giovani, direi giovanissimi: dai 12 ai 18 anni. Questo carcere minorile esiste ancora, dal 1935 si chiama Ferrante Aporti e si trova dall’altra parte di Corso Unione Sovietica, a 100 metri di distanza da noi. Purtroppo, in questo carcere ci sono ancora ragazzi e giovani. Nelle Memorie dell’Oratorio don Bosco descrive così i sentimenti provati in occasione di quell’incontro:

«Vedere turbe di giovanetti, sull’età dai 12 ai 18 anni; tutti sani, robusti, d’ingegno svegliato; ma vederli là inoperosi, rosicchiati dagli insetti, stentar di pane spirituale e temporale, fu cosa che mi fece inorridire … Chi sa – diceva tra me – se questi giovanetti avessero fuori un amico, che si prendesse cura di loro, li assistesse e li istruisse nella religione nei giorni festivi, chi sa che non possano tenersi lontani dalla rovina o almeno diminuire il numero di coloro che ritornano in carcere? Comunicai questo pensiero a don Cafasso, e col suo consiglio e co’ suoi lumi mi sono messo a studiar modo di effettuarlo». 

Sottolineo due aspetti. Innanzi tutto, è veramente un disastro che ragazzi e giovani finiscano in carcere. È uno spreco di energie, uno spreco di vita. Come dice il nostro santo patrono, “vederli là inoperosi, tutti sani, robusti, d’ingegno svegliato”, è cosa da “inorridire. Il tema non è abolire il carcere minorile, ma fare in modo che nessuno ci vada dentro. Come?

Don Bosco trae una conclusione, prende una decisione. È il secondo aspetto che evidenzio. Pensa: “se questi giovanetti avessero fuori un amico che si prendesse cura di loro…”. È il sistema preventivo, quello che è diventato famoso e si è diffuso in tutto il mondo: prendersi cura dei giovani, diventare loro amici, per “tenerli lontani dalla rovina o almeno diminuirne il numero”.

È quanto viene fatto in tutte le case salesiane nel mondo. È quanto cerchiamo di fare noi, salesiani, docenti, formatori e assistenti, all’Agnelli. È il motivo per cui ci impegniamo ad essere casa che accoglie, cortile per incontrarsi da amici, scuola che avvia alla vita, chiesa dove si vivono il Vangelo di Gesù e i grandi valori umani.

Tra i modi “studiati” da don Bosco per realizzare questa missione ce n’è uno, che gli è stato rivelato nel sogno dei 9 anni: agendo con bontà e amicizia, molti animali feroci e bestie selvatiche si erano trasformati in agnelli, tra questi alcuni erano diventati pastori. Don Bosco ha aperto case e salvato giovani grazie ai giovani: lo hanno aiutato a realizzare questa missione.

Giovani che salvano giovani. Voi siete “agnellini”. Sono sicuro che Dio chiama alcuni tra voi a diventare pastori per salvare i ragazzi e i giovani. È una vocazione/missione fantastica!

Don Claudio Belfiore

Direttore